Quale consumo?

baby consumerTorniamo al lavoro, con l urgenza di ripensare i nostri modelli di consumo.Detto cosisuona pesante, ancor piu’ pesante di quanto non sia gia’ mediamente un rientro dalle vacanze.Ma pensiamoci: l economia degli economisti, degli analisti della City, sembra proprio arrivata al capolinea. Da tempo sappiamo che il PiL, come indicatore, e’ in crisi, inadatto a misurare la felicita’ delle nazioni, con buona pace di Adam Smith. Abbiamo vissuto un’estate con l incubo delle manovre finanziarie, il film rivisto delle borse che crollano, la retorica del sacrificio e i contributi di solidarieta’ dei soliti noti. Eppure a scioperare sono i calciatori: ah, l italia.

Settembre mi impone una riflessione. Che consumatori vogliamo essere d ora in poi?

E’ sufficiente stringere la cinghia ed eliminare il generico superfluo dalle nostre vite E cos e’ il superfluo poi, e per chi un consumo consapevole e responsabile contribuisce alla felicita’, mia e della collettivita’?A chi voglio dare i miei soldi, per avere in cambio quali valori materiali d uso, ma soprattutto immateriali ed emozionali?

Penso che dobbiamo sgombrare definitivamente il campo dalle retoriche no-global e dagli attivismi anti-brand che identificano troppo facilmente il consumo col consumismo e recuperare un significato di consumo – e quindi un marketing che lo interpreti e la rappresenti- in linea con i nostri sentimenti, qui ed ora. Le fasi del ciclo di vita del consumo, da moderno a post-moderno, si riassumono di solito così:

  • il consumo di massa dell epoca industriale, la vasta accessibilita’ alle merci come mezzo di emancipazione, e quindi l acquisto come atto dovuto, di ostentazione e di raggiungimento di uno status
  • il consumo edonistico, che diventa piacere e sfogo individuale, caratterizzato da una forte democratizzazione dei beni durevoli, un atto d acquisto che da status si fa lifestyle
  • il consumo autobiografico, inteso come espressione intima di se e come desiderio di realizzazione dei propri valori.

Possiamo inneggiare al downshifting, di cui abbiamo parlato nei nostri Lab, ma quello che eliminiamo e quello che teniamo, insomma ogni decisione di consumo che prendiamo, e’ un modo per creare la nostra trama di persone uniche e irripetibili e raccontarla agli altri, e’ un bisogno fondamentale, una cosa senza la quale non riusciremmo a sentirci bene nel mondo.Si tende ad identificare il primo atteggiamento di consumo con l economia fordista, il secondo con la fase che va dal dopoguerra alla fine del novecento, inclusi i fantastici anni ottanta e la Milano da bere dei pubblicitari, e l ultima fase con quella in corso. Ma la liquidita’ dei mercati e delle nostre stesse identita’ rende la distinzione un po troppo netta: a seconda delle nostre fasi di vita e anche a seconda delle categorie di prodotto, possiamo saltare facilmente da un atteggiamento all altro.

Non a caso la campagna il “lusso e’ un diritto”, che coglie un possibile aspetto dell acquisto di un’ automobile, ha fatto molto discutere, sia per la difficolta’ di interpretare il messaggio in se (di cosa parla?) sia per le difficolta’ di identificazione (a chi parla A me).
E ora proviamo ad alleggerire un po il tema, rispondendo con un sorriso al test “che tipo di eco-consumatore sei” gentilmente offerto da Piattini Cinesi.

3 commenti
  1. Gianluca Greco
    Gianluca Greco dice:

    1. Non liquiderei Adam Smith tanto facilmente: si occupava della ricchezza delle nazioni non della loro felicità. E’ vero che PIL da tempo criticato come indice unico per misurare il benessere, ma pochi pensano che ci possa essere benessere senza sviluppo economico, basta pensare a A. Sen.
    2. Un passo per un concetto di consumo adeguato ai nostri tempi sarebbe ammettere che la crisi economica ha svelato la miopia della riflessione postmoderna sui consumi (Di Nallo, Fabris etc), la sua ottusità di fronte alla dimensione economica del consumo che riguarda sia la produzione dei beni che consumiamo, sia l’origine del denaro necessario per acquistare quei beni.
    3. Più che storicizzare il consumo, che come tu stessa ammetti, rischia di generare schemi troppo rigidi, io credo sia opportuno storicizzare le mode in filosofia o sociologia che hanno caratterizzato la riflessione sul consumo. Mode che in qualche modo influenzano la percezione che abbiamo del consumo in certi periodi storici. Infatti distinguo due grandi momenti: la riflessione moderna caratterizzata da una certa diffidenza verso ila sfera del consumo dalla riflessione post moderna completamente rapita da essi.

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  2. Flavia Rubino
    Flavia Rubino dice:

    Grazie per il commento molto interessante, Gianluca, e scusa per il ritardo del mio. E’ vero, ho scherzato su A. Smith senza averne molto titolo.. ma volevo solo dire che, secondo molti, rientrerebbero ormai nel concetto stesso di ricchezza molti fattori non strettamente economici.
    Sulle riflessioni che citi, devo dire che mi lascia molto perplessa la diffidenza acritica verso il consumo, che vedo ancora molto spesso. Io piuttosto mi sento (rapita non saprei) ma interessata sicuramente molto di più alla narrazione autobiografica. Il consumo è parte della nostra vita e trovo estremisti quelli che lo negano.

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  3. Gianluca Greco
    Gianluca Greco dice:

    Non mi riferivo alla gente comune, ma a quella corrente di pensiero che in Italia è detta Postmoderna che ha proposto il consumo come narrazione, come strumento di costruzione dell’identità, che ha per capostipiti Di Nallo e Fabris. Una corrente che parte da un giudizio complessivamente positivo del consumo, salvo fargli qualche critica marginale. Insomma, nulla di paragonabile ai giudizi di gente come Baudrillard:-)
    Non parlo nemmeno di Bauman, molto critico verso il consumo come autobiografia, perché a mio avviso non è assimilabile alla corrente postmoderna.

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