L'ascesa della vera mamma

Quello degli stili materni, e piu’ in generale degli stili di vita femminili, e’ uno dei cambiamenti sociologici piu’ potenti che ci siano in atto. Chi si occupa di marketing sa che i primi a cogliere i segnali del cambiamento di un “target” (qui nel Village questa parola verra’ sempre usata tra virgolette…perche’ non crediamo nei target passivi ma negli utenti attivi), per poi tradurli in opportunita’ di business per i loro clienti, sono le grandi agenzie di Advertising. Per esempio, circa 15 anni fa una famosa agenzia presento’ a noi del marketing della Procter &amp Gamble italia la famosa Generation-X (di cui indubbiamente facevo e faccio parte, avendo tra i 30 e i 44 anni, ma ahime’ passata ormai nella seconda decade). uno degli spot-simbolo di quella generazione che ci venne mostrato era la Coca Cola Light, che allora ci sembrava molto divertente. Si parlava di donne in carriera, emancipazione e sovvertimento dei ruoli. Da giovane assistente commentai un po’ scettica e un po’ timida: mah, a me sembra che mostrare uno stereotipo “al contrario” significhi pur sempre convalidare lo stereotipo. Ma non sapevo bene, neanch’io, cosa volessi dire.
Ebbene quindici anni dopo, dopo aver deciso di chiamare un sito “VereMamme: mamme che sanno cosa vogliono”, dopo aver preso atto della rivendicazione/aspirazione sempre piu’ forte da parte delle donne a creare il loro successo senza replicare forzatamente dei modelli maschili, dopo aver parlato di empowerment in molti modi, penso di aver colto un po’ di piu’ di quel significato: e ora mi conforta addirittura un articolo di Advertising Age, la Bibbia dei pubblicitari americani. E’ uno studio che si intitola guarda caso “The rise of the real mom”, cioe’ “l’ascesa della vera mamma” (o mamma vera, minuscolo, che e’ una traduzione migliore ed elimina un po’ il rischio di essere prese per presuntuose), ed esplora “quello che le donne vogliono in materia di famiglia, vita e lavoro nel 21° secolo”. Perchè dopo la Gen-X, sono arrivati i Millennials (18-30enni), e un po’ di cose stanno cambiando.

Ecco alcuni insights fondamentali per capire queste evoluzioni (per una lettura completa rinvio al pdf sopra, in inglese):

  • “Avere tutto” non significa “fare tutto”. Mentre fino a dieci anni fa l’ideale a cui aspirare si personificava in una “Supermom”, in grado di far quadrare alla perfezione famiglia e carriera, la nuova generazione è pragmatica e realista, non ricerca la perfezione che ha angosciato la vita di tante, e proprio per questo non vuole soccombere alla trappola delle rinunce.
  • “Permission to be imperfect”. I prodotti che vogliono parlare con le nuove mamme devono dimenticare una volta per tutte il linguaggio dei sensi di colpa e abbracciare il linguaggio dell’empowerment. Un esempio? Fammi sentire in grado di delegare questo compito a qualcun altro (o a qualcos’altro), e non farmi sentire in dovere di fare “la brava mamma”.
  • Molto più che mamme: le Millennials vogliono essere persone autentiche e donne dagli interessi molteplici, che vanno ben al di là del loro ruolo di nutrici. Quante volte lo abbiamo detto, che l’etichetta di mamma ci va stretta? Siamo tutte diverse. “Non diteci chi siamo, non diteci cosa pensiamo”. Dateci soluzioni che ci permettano di dedicarci a quello che noi riteniamo importante, piuttosto che farci lezioncine su quello che per noi deve essere importante. Chiara la differenza?
  • Work-life effectiveness invece di Work-life balance. Mentre “l’equilibrio” (balance) evoca acrobazie impossibili (come ben sa PiattiniCinesi), il concetto di organizzazione efficace tra vita e lavoro è più concreto, si basa su delle scelte individuali (essere empowered significa scegliere, non subire), e sulla consapevole gestione del costo-opportunità di quelle scelte. Chiara la differenza rispetto al concetto di “rinuncia?”

Insomma, sembra che questi studi colgano dei punti molto importanti. Sarà interessante vedere chi e come li tradurrà in una comunicazione moderna, in una semantica femminile nuova, in questo paese solitamente ritardatario come il nostro (con un eufemismo condiviso nel settore, quando noi marketers italiani parliamo con i colleghi stranieri, diciamo: “sai, siamo tradizionalisti”).

 

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4 commenti
  1. supermambanana
    supermambanana dice:

    Hey non mi minimizzare la Gen X please 🙂 in un’intervista che mi piace moltissimo, Jeff Gordinier parla del suo libro su Gen X, di come noi abbiamo fatto un lavoraccio per rendere il mondo com’e’ ora, ma senza strombazzarlo in piazza, come i boomers, e senza sgomitare per arrivare in piazza, come i millenials 🙂 ti passo il link (se vuoi ti posso anche improvvisare una traduzione da postare). E se le mamme millenials stanno trovando risposte e’ anche perche’ noi gen-xers abbiamo fatto le domande!

    http://www.youtube.com/watch?v=MPdEgwOsvDk

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  2. Bianca
    Bianca dice:

    Molto interessante, grazie! Ma secondo te, esistono già marchi che hanno già abbracciato il linguaggio dell’empowerment? Cioè, come dici tu, che ci mettono in cindizione di delegare a qualcun altro (o a qualcos’altro)? Mi fai qualche esempio???

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  3. Flavia Rubino
    Flavia Rubino dice:

    Ciao Bianca 🙂 Empowerment significa “mettere in condizione qualcuno di scegliere e di agire”, dandogli delle risorse (la prima è la fiducia in se stessi!). Ci sono vari livelli, tipicamente quello dello sviluppo del prodotto e poi quello della comunicazione dello stesso. A livello di prodotto, ho notato che piacciono sempre di più quelli multiuso, che ti permettono di inventarti anche usi alternativi, o di personalizzarli. A livello di comunicazione invece, è molto complesso “azzeccare” i toni giusti. Anche quando l’obiettivo della comunicazione è farti sentire “empowered”, il linguaggio in cui facilmente si ricade è quello “patronizing” cioè dei consigli dall’alto. Oppure si confonde l’empowerment con la convenience, che significa comodità, facilità e velocità d’uso: “così ci metti molto meno (che so, a lavare i pavimenti) e hai più tempo per dedicarti a quello che ti piace”, resta il fatto che continui a dirmi che prima devo avere il pavimento splendente e poi posso permettermi il lusso di rotolarmici col bambino o di leggere un libro, cose che mi fanno un po’ ridere. Mi viene da dire che un buon esempio di diversa prospettiva è stato Mastercard: puoi comprarci quello che vuoi, ma alcune cose sono impagabili. Quindi autoironia (i brand non sono onnipotenti) e soluzioni pratiche per vivere meglio scegliendo quello che ti fa sentire meglio.

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