Il caso Huggies Bimbo-Bimba, e perché è perfettamente inutile parlare di sessismo

L’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ha emesso una “ingiunzione di desistenza per la violazione degli art. 10 (Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona) e 11 (Bambini e adolescenti) del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale. In poche parole, ha chiesto di ritirare questo spot di pannolini:

 

 

La discussione che ne è scaturita sulla pagina FB di Huggies, sul loro canale YT e in giro su vari profili privati nei social,  ha qualcosa di paradossale per quanto è ripetitiva.

– “Ma non vedete gli stupidi stereotipi di genere di cui è imbottita?”

– “Non fateci ridere, sono differenze naturali, si nasce con un pisellino e una patatina. C’è ben altro di cui preoccuparsi per i nostri figli”

– “Non capite proprio cosa stiamo dicendo? Non si tratta delle differenze anatomiche”

– “Idiozie da perditempo, allora abolite anche i bagni per uomini e donne”

E niente. Via così per centinaia di interazioni.
Il concetto di danno collettivo derivante da uno stereotipo di genere non rientra nell’orizzonte mentale di molte, moltissime persone. I contro-indignati-benaltristi non afferrano questo: che una differenza anatomica è solo una differenza anatomica e come tale va trattata da un pannolino e dalla sua ricerca e sviluppo.
Ma non può condizionare in alcun modo inclinazioni, desideri, aspirazioni, il modo in cui si verrà visti, trattati dai propri genitori e dalla aspettative della società. Questa lettura del problema la considerano assolutamente esagerata.

Non partecipo mai a questo genere di ondate e polemiche, ma faccio un’eccezione perché vedere lo spot mi ha provocato una reazione emotiva molto forte, da professionista e da consumatrice. Eppure quella non era ancora niente, al confronto di quando ho visto questo (se avete stomaco ingrandite pure):

ribattuta

Ecco che si delinea una nuova guerra tra il bene e il male, come se ce ne mancassero: tra chi esalta le differenza dei sessi, valore fondante della famiglia, e chi la vorrebbe negare. Si intende che chi la nega sono i fautori dell’ideologia gender, identificabili nelle lobby gay, che vogliono annullare  le differenze tra maschi e femmine e portare avanti l’idea perversa per cui si possa scegliere cosa essere e amare chi si vuole.

(commento personale: ma per tutta la vita, grazie)

Da quando la lotta al sessismo in comunicazione, una buona causa su cui le associazioni dei pubblicitari hanno iniziato a impegnarsi negli ultimi anni in modo crescente sotto la pressione dei professionisti e dei fruitori della comunicazone stessa, è passata dall’essere semplicemente ridicolizzata come veterofemminismo da una parte ineliminabile di pubblico becero, a sinonimo della maligna ideologia gender contro cui scendono in campo le più alte gerarchie della Chiesa?

Il piano della discussione sembra essersi pericolosamente spostato: da “ma che sessismo, siete femministe arrabbiate, fatevi na risata” a “la differenza sessuale esiste in natura e va bene”.

Da quando un obiettivo da promovere per il bene di tutti e con il consenso di tutti, e cioè liberare la nostra  società dagli stereotipi,  è diventato bandiera di legioni avverse,  da quando esattamente sono scese in campo schiere di contro-indignati, paladini delle differenze naturali, che vogliono difendere  il loro sessismo dall’attacco negazionista-gender?
Da quando si lanciano contro-petizioni a favore di  una pubblicità come questa, sostenendo dunque con convinzione che un brand possa trattare con la stessa divertita leggerezza la direzione del getto di una pipì e quella delle aspirazioni e della vita di una persona?

Mi chiedo dunque da quando il sessismo ha smesso di essere una cosa cattiva. Perché il punto non è certo mettere in discussione la differenza tra uomo e donna, che è una cosa bella. Il punto è che il sessismo è tutta un’altra cosa, è un modo stupido, ottuso e dannoso di parlare di quella differenza,è  priva di fondamenta umane, sia emotive che razionali. Come il razzismo, come il bullismo, come la violenza, è una relazione malata, un concetto malato, una degenerazione.
Perché uno stereotipo sessista in comunicazione è una cosa cattiva? Perché deforma, ingabbia, limita. Perché uccide la libertà.

Uno stereotipo sessista è una cosa cattiva perché dannosa, ed è una cosa dannosa perché limita la libertà di un essere umano.

Ma troppe persone il sessimo proprio non lo capiscono. E’ una di quelle parole ideologiche, filosofiche, troppo sessantottina,  piena di distinguo e di confini sottili. Fino a dove la battuta da bar in un meeting è consentita e oltre quale limite diventa sessista? Troppa sottigliezza.

Allora facciamo una cosa, cambiamo il tipo di discorso. Quando una comunicazione dice un mucchio di vecchie banalità sui sessi, sui loro ruoli e inclinazioni, chiamiamola per quello che è: non pubblicità sessista, che dà adito a interpretazioni, ma pubblicità idiota.
Sapevate che la radice greca della parola idiota si riferisce precisamente a chi non ha a cuore l’interesse pubblico?
Esistono due criteri per questa valutazione:

La responsabilità

La pubblicità ha la responsabilità sociale promuovere il progresso della società a cui si rivolge, non di rappresentarne la mediocrità. Devi essere utile, devi essere nuovo, a che giova ripeterci banalità? Siamo nel 2015, non nel 1961. E neanche nel 1989. Per una pubblicità che si ponga l’obiettivo di essere in sintonia con la parte più evoluta della società, nel 2015, iI messaggio da mandare a genitori e bambini non può che essere: non ti lascerò ingabbiare dalle aspettative altrui, prima di tutto le mie. Non lascerò che una cosa che i benpensanti chiamano natura e che invece è solo paura, condizioni la tua vita interiore. Ti darò le ali per superarti.

L’intelligenza emotiva

Io chiamo intelligenza emotiva di un brand, l’essere in sintonia con i valori e i sentimenti giusti.  Per essere felice posso essere me stesso, qualunque cosa io voglia. Non ci sono cose da femmina e non ci sono cose da maschio. Ci sono solo le cose che io scelgo di fare, ignorando i giudizi convenzionali, perché sono un essere umano libero.
Una pubblicità intelligente (e quindi le persone che la fanno, ovviamente), come quelle che  citavo qui rivolte alle donne, questa cosa te la fa sentire profondamente, nella pancia. Si chiama empowerment.

Se la pubblicità si fa carico di un messaggio empowering, allora sta rendendo un servizio alla collettività. Se lo contraddice e lo svilisce, lo IAP fa benissimo a condannarla.

Questa, fatevene una ragione prelati, sentinelle in qualsiasi posizione stiate, genitori di povere generazioni destinate ad ingabbiarsi negli schemi che si impongono, e purtroppo di adolescenti che ancora in tutto il mondo si suicidano,  non è la dittatura della maligna ideologia gender della lobby gay contro cui scendere in piazza. E’ solo la civiltà che, faticosamente, avanza.

1 commento
  1. Paolo Scatolini
    Paolo Scatolini dice:

    Una bambina non diventerà schiava del patriarcato a causa di uno spot ma lo spot Huggies era sessista senza dubbio credo che lo IAP abbia fatto bene a cancellare lo spot, credo che le paranoie di sentinelle in piedi e gente simile siano appunto paranoie, nessuno vuole negare l’esistenza di maschi e femmine.si vuole solo insegnare il rispetto reciproco ma non lo capiscono

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