La conversazione e l' aglio nella carbonara

Girovagando per i blog degli amici, mi sono imbattuta in questo post di Marco Decio. in sintesi, Marco dice che non e’ vero che, nelle strategie social, la strada migliore sia sempre quella di essere “i piu’ gentili”, e cita ad esempio alcune famose uscite di Steve Jobs verso i clienti.
Credo che la tesi di Marco sia assolutamente vera. E percio’ riprendo il discorso da un altro punto di vista.
Voci

Entrare nella conversazione con i clienti significa, per un’azienda, innanzitutto, trovare la voce con la quale parlare, e va da se che questa voce non puo’ essere la stessa per tutti. Dentro la voce c’e’ molto di una persona: un timbro, che la rende unica e riconoscibile un tono, che definisce sia le caratteristiche fisiche dell apparato fonatorio di chi parla, sia il suo carattere un volume, che puo’ essere basso o alto, e che, benche modulabile, e’ all origine definito da una serie di elementi e cosivia. E poi ci sono i toni: c’e’ quello allegro, quello ironico, sarcastico, arrendevole, negoziale, e via modulando. Tutte queste cose vanno prese e messe dentro l identita’ dell azienda (o del brand, va da se).
Nelle strategie di brand delle agenzie di pubblicita’ c’e’ sempre una slide che descrive “il tone of voice” del cliente, ma il piu’ delle volte e’ riferito ad un singolo prodotto, se va bene, se no anche ad una singola campagna. E, con tutta la buona volonta’, descrive il tono di voce del brand in un contesto preciso, quello del palcoscenico. Quindi no, questa slide, se vogliamo parlare con i nostri clienti, non va bene, o per lo meno richiede qualche integrazione. Qualche importante integrazione.
Chi e’ che parla?

Sarebbe facile se tutte le aziende avessero il loro Steve Jobs. Magari discutibile nei modi, non lo e’ sicuramente nella sostanza. insomma, lui e’ fatto cosi e se ti sta antipatico peggio per te. pero’ nella maggior parte dei casi non e’ cosi non c’e’ nessuno Steve Jobs. E allora che succede
Che se siamo fortunati (ma molto fortunati) e il top management ci crede, la voce sara’ quella della o delle persone che effettivamente prendono le decisioni all interno dell azienda. La maggior parte delle volte si lavora bene con un’azienda perche’ il/i brand manager sono motivati e disponibili ad investire parte del loro tempo nella conversazione. Poi, naturalmente, ci sono le situazioni in cui la persona proprio non c’e’, o magari e’ l agenzia di pubblicita’ e li’puo’ andar bene ma anche no. in tutti i casi, la voce non emerge subito. c’e’ bisogno di un po di esercizio, proprio come fanno i bambini che iniziano a parlare, e che fanno le loro prove tecniche di espressione, e non avrebbe neanche senso che fosse diversamente.
Prove tecniche di espressione

una volta trovato chi parla il grosso e’ fatto. Rimangono i dettagli. Un’azienda che inizia a parlare, per quanto ascolto possa aver fatto, sara’ sempre impacciata. Sara’ sempre tentata, ad esempio, a rispondere per le rime al cliente un po matto che insiste sul fatto che nella carbonara ci va l aglio, per dire. E qui non e’ questione di gentilezza, e’ molto piu’ complesso di cosi E’ comprendere le dinamiche e modulare la voce: che puo’ farsi grossa, ma ormai sappiamo tutti che una querela per diffamazione non si puo’ annunciare tra i commenti di un post scomodo. pero’ spiegatelo a un cliente veramente diffamato.
Ma poi chi e’ il mio cliente?

Perche’ all’ inizio ci sono un sacco di cose che sono un salto nel buio. Per quante ricerche possano essere state fatte, la verita’ e’ che l’ azienda non conosce il suo cliente, o meglio lo conosce (quando lo conosce) solo in termini socio-demografici. Ma chi sia costui, quale sia il suo carattere, la sua umanita’, se sia una persona disponibile o collerica, che ama la sintesi o l analisi, non si sa fino a quando non si e’ iniziato a parlarci. E’ solo in quel momento che si palesano gli interessi e le dinamiche, le stranezze e le anomalie, tutte quelle cose insomma che fanno siche dietro una conversazione ci sia sempre una persona, vera, completa e disponibile. Anche a rispondere a uno che pretende di mettere l aglio nella carbonara.
*Ovviamente, rispetto all aglio nella carbonara, c’e’ chi lo mette e chi no. io, se fossi una foodblogger, lo considererei una bestemmia. Per fortuna non lo sono.

2 commenti
  1. Isolde
    Isolde dice:

    L’aglio non è l’unico abominio, ma anche l’uovo strapazzato a parte! L’uovo va messo nel piatto nella dose 1 x porzione e gentilmente amalgamato con gli altri ingredienti.
    La pancetta croccante deve sfrigolare ancora una volta messa insieme agli spaghetti… ma del resto, che dire, ognuno mangia come crede Del resto gli amici inglesi ci mettono funghi e panna e vagli a dire che non è la carbonara ma una ricetta “a modo mio” loro insistono che cosi “è più buona”
    Penso che la differenza culturale infatti non sia di poco conto: se un no secco puo’ esseere perfettamente accettato da un aglosassone, potrebbe essere considerato maleducato da un latino e il “tone of voice” dell’azienda andrebbe gentilmente amalgamato come l’uovo nella carbonara!
    E’ vero che in un mercato globale e per alcuni brand deve valere il detto “one fits all” ma è anche vero che il consumatore evoluto che si pone in dialogo attraverso la rete deve poter scindere la maleducazione dalla cultura aziendale.
    Trovare il giusto tone of voice aziendale non è semplice: infatti ancora poche aziende, a mio avviso, possono dire di dialogare apertamentamente con i propri consumatori. Spesso, lo stagista che dialoga è addirittura quello dell’agenzia di comunicazione 🙂

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  2. Giuliana
    Giuliana dice:

    il tema dei brand globali, infatti, è veramente interessante, e in effetti steve jobs fa scuola in questo senso. però nel caso di Apple non c’è niente da cercare, mentre in generale non è così. (che poi, alla fine, magari lo stagista ha una sensibilità più acuta, meno spocchia e più voglia di mettersi in gioco, per cui hai visto mai?)

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