Storytelling social: qualche esperienza – Prima parte

Abbiamo chiesto alla nostra amica Anna Lo Piano, aka Piattini Cinesi, di raccontarci qualcosa sulla sua esperienza di storyteller, maturata durante quest’anno di collaborazione con Mulino Bianco. E Anna ha esagerato. E ci ha mandato un post talmente interessante che non possiamo fare a meno di pubblicarlo in due parti.
una cosa e’ sicura. il titolo di questo post non e’ dei piu’ creativi. Ma ha un low profile strategico che mi serve a circoscrivere l argomento, e non e’ poco.

Lo storytelling, infatti, e’ un concetto che tende a espandersi e ramificarsi, e che oggi viene usato in molti campi, dalla pedagogia, alla formazione per adulti al marketing. io lo usero’ nel senso di racconto di un’esperienza personale usando tecniche narrative, cosida diventare fruibile e condivisibile da altri.

Social si riferisce evidentemente al web, ovvero a quella particolare capacita’ del web di creare comunita’ piu’ o meno grandi che si intersecano fra loro e i cui componenti interagiscono secondo dinamiche sociali. Nel caso dello storytelling social vuol dire che le storie delluno dipendono in qualche modo anche dalle storie degli altri.

Per comodita’ parlero’ prima dell esperienza dei racconti personali all interno dei blog, anzi dei famigerati mommy (and daddy) blogs e in un secondo momento di due esperienze di marketing in cui sono stata coinvolta.
I blog personali sono un esempio evidente di storytelling sociale. Vediamo perche’.
Ina delle prime cose che mi ha colpito quando ho cominciato a leggere i racconti dei blogger e’ stata la grande abilita’ di usare la scrittura. Non leggevo solo sfoghi o resoconti ma veri e propri scorci di vita, analisi di sentimenti, racconti che rimanevano impressi nella mente e diventavano esemplari. Non era solo una questione di lessico ma di strutture. Alcuni blogger sapevano usare le tecniche dell anticipazione, dell attesa, dello svelamento, della ripetizione, dell intreccio.

un esempio Lamentarsi del pianto incessante del proprio bambino e’ lo sport preferito di tutti i neogenitori. Tra di loro fanno a gara per salire sul podio del genitore con piu’ ore di sonno arretrate. L argomento, per chi e’ al di fuori di questo lungo e penoso tunnel, perde pero’ interesse dopo i primi dieci secondi. Se il bambino lagnoso e’ presente, anche dopo i primi cinque. Eppure questo post di Wonder riesce a restituire all argomento il pathos che merita. il pianto non e’ piu’ pianto, ma diventa mmeeeeh. il mmeeeh non e’ solo un suono. E’ un fenomeno, un oggetto, una figura, la quintessenza della neonatalita’ rompiscatole e invasiva. il suo post e’ un esempio di puro noir casalingo. E come se non bastasse fa anche ridere, e tanto.

Cambiando totalmente registro, c’e’ un vecchio post di l Erinni che riesce a farmi venire i brividi ogni volta che lo leggo. Parliamo di un amore finito, con il quale si e’ condiviso una parte importante della vita, figli compresi. Ci sono molti modi per dire che si soffre, che si vorrebbe riavvolgere il tempo come una coperta, che non ci si rassegna alla fine delle cose ma che si e’ di fatto rassegnati a un cambiamento gia’ avvenuto. Quel mi manca ripetuto all inizio di ogni frase, e poi troncato alla fine bruscamente da una sentenza secca, che pero’ apre alla risoluzione. Pura poesia.

La capacita’ di alcuni blog di riuscire a situarsi in una zona intermedia dove l autore trasforma il proprio vissuto in un racconto e una parte di se stesso in un personaggio fa si che essi vengano seguiti con la stessa partecipazione e attesa di un feuilleton. Esempi tipici sono Pulsatilla, Elasti, Duchesne, la gia’ citata Wonder. A decretarne il successo, oltre alla scrittura, e’ a mio avviso la capacita’ di creare mondi, completi di ambienti, emozioni e personaggi, mantenendosi sempre sul filo di questo precario equilibrio tra realta’ e re-interpretazione della realta’. il blog volutamente finto, su web, non funziona o funziona solo in parte, perche’ il web ha bisogno di realta‘. (una delle possibili evoluzioni dello storytelling su web secondo me e’ proprio quella del reality, ma quello e’ decisamente un altro post).

Va bene, detto questo: in che modo dei racconti personali possono diventare “social?

[To be continued]

5 commenti
  1. Desian
    Desian dice:

    certo, è la relazione tra storie la parte più interessante. E’ come mettersi in relazione con un personaggio (o con una situazione) quando leggiamo un romanzo. In fondo, credo, la vita è una ricerca e viene meglio se assomiglia a qualcosa che conosciamo già. Poi magari ci allontaniamo un pezzetto alla volta verso un’altra storia, nuova. Ma siamo partiti da lì, dalle somiglianze. Aspetto il seguito! 😉

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  2. Bismana
    Bismana dice:

    Concordo con il fatto che il blog reale ma “ben scritto” possa rivisitare la realtà donando al lettore altri punti di vista che gli fanno sembrare diversa una qualsiasi situazione altrimenti piatta e frustrante. Quelli finti che hanno il solo scopo di markettizzare non mi piacciono.

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  3. Piattinicinesi
    Piattinicinesi dice:

    @desian in effetti nella seconda parte parlerò proprio del venirsi incontro tra storie, ma anche tra stili e argomenti (e sarai citato 🙂
    @bismama la realtà è fondamentale nei blog, nella seconda parte faccio anche alcuni accenni alla verosimiglianza et similia. e poi si continua…

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