1. La collaborazione tra aziende e influencer

La crescita degli investimenti in Influencer Marketing sta subendo un’accelerazione. Ma questo entusiasmo rischia di rivelarsi presto una bolla, se manca una riflessione strategica e una solida cultura di marketing da ambo le parti: aziende e influencer.

Il presupposto strategico su cui si basa l’influencer marketing è che la comunicazione da pari a pari sia più efficace di quella dall’alto verso il basso, in altre parole che un messaggio proveniente da qualcuno simile a noi sia più credibile, degno di fiducia e di attenzione di un messaggio pubblicitario/istituzionale proveniente da un’azienda.
Tuttavia, affinchè questo vantaggio sia reale e non si appiattisca in un rumore di sottofondo meramente pubblicitario, il modello di coinvolgimento degli influencer richiede al più presto un’evoluzione, e un maggiore pensiero strategico. Mi piacerebbe che le opportunità di collaborazione, che stanno aumentando rapidamente in quanto sempre più aziende iniziano ad investire in influencer marketing, diventassero fonte di crescita e di responsabilità, aiutando le aziende a fare un marketing migliore e le persone che hanno una presenza significativa in Rete (i cosiddetti “influencer”, appunto) a diventare persone migliori. Come è possibile ciò?

Prima di tutto occorre distinguere tra un approccio celebrity/testimonial e un approccio autenticamente collaborativo. Nel primo caso si ripropone il rapporto classico tra sponsor e testimonial: lo sponsor paga, il testimonial gli vende la sua immagine per veicolare un dato messaggio. Nel secondo caso, invece, gli influencer non vengono trattati come numeri e spazi in vendita ma come menti pensanti da stimolare, capaci di influenzare il messaggio stesso, personalizzandolo, e capaci di produrre senso.
Due ruoli, infatti, sono fondamentali per le persone in Rete:

  1. “Gate keeper” ovvero guardiani della buona informazione

Se prima l’ignoranza era generata dalla totale mancanza di informazione, nell’era digitale che stiamo vivendo l’ignoranza è generata dalla infinita disponibilità ed accessibilità di informazioni prive di qualsiasi controllo. La responsabilità di chi sta in Rete con obiettivi professionali (che si tratti di un blog, di una pagina Facebook, di un account Twitter o di un canale  YouTube) consiste nella selezione delle fonti, nell’aiutarci a individuare i contenuti di qualità, e a riconoscere e circoscrivere le bufale (prima le chiamavamo così, ora assurgono agli onori delle cronache come fake news). Sia le aziende che gli influencer devono impegnarsi in questo rigoroso fact checking, altrimenti ne andrà della loro reputazione, che è il bene primario e la valuta di scambio per eccellenza in Rete.

  1. “Sense maker” ovvero produttori di senso

Nel 2016 abbiamo scritto un paper dal titolo InflUTILITY (*), l’Influencer Marketing Utile, i cui 4 pilastri sono la relazione di fiducia, la cocreazione, la credibilità e la rilevanza. Quando gli obiettivi del brand “passano attraverso” gli obiettivi delle persone, quando la sua visione del mondo – la missione – e non semplicemente la sua offerta di prodotto, incontra quella degli individui e viene portata in vita dalle persone vicine a noi, allora si producono messaggi utili e interessanti. Lo definisco branding partecipativo.
Inoltre gli Influencer hanno il polso del sentiment della rete nel loro ambito di riferimento. Sanno quando un messaggio può cogliere nel segno o, al contrario, quando può risultare irritante. Hanno interessi e competenze specifiche, filtrano fatti, dati, concetti, attraverso la loro rete di passioni e relazioni, quindi producono senso. Questo risultato non sarà mai prevedibile e/o riproducibile in un laboratorio, cioè in un ufficio marketing o in un’agenzia.
Le passioni e gli interessi delle persone, incontrando idee nuove e rilevanti offerte dalle aziende, producono insight: praticamente il sacro Graal di ogni marketer.

(*) di Flavia Rubino, Franz Russo, Claudio Gagliardini, Marcello Coppa

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