Ospiti del Village: Marco Ruggeri

Ogni tanto qualche amico passa a trovarci qui nel Village, e allora gli chiediamo di scambiare due chiacchiere con noi. un punto di vista interessante e’ sicuramente quello delle grandi agenzie di pubblicita’, per decenni organizzate e strutturate secondo i canoni del marketing tradizionale, e all’improvviso “costrette” a confrontarsi con la rivoluzione dei Social Media. Qualcuno ricerca e adotta competenze esterne, altri le formano all’interno, e intanto pochi clienti approcciano questo strumento in modo davvero strategico. piu’ che un nuovo modo di fare e di dire le cose, viene considerato dai piu’ solo un ulteriore canale attraverso il quale comunicare…le stesse cose.

Ciao Marco. Raccontaci di te. Ciao Flavia, allora. Sono il direttore clienti di un’agenzia di pubblicita’, ho 36 anni e nonostante sia un fautore della vita oudoor mi colloco tra i geek e i web addicted. Questo mi ha portato a fondere aspetti professionali ad aspetti personali per cui cerco di sperimentare in anticipo sulla mia rete di contatti le idee che mi vengono in mente e, se funzionano, le propongo ai clienti. Gli strumenti che ho a disposizione sono l email, ma soprattutto Facebook e il mondo dei blog.

A cosa pensi immediatamente se ti dico social media? Penso a Facebook e Twitter e a come hanno cambiato il modo di comunicare nel mondo. una reale connessione costante tra individui (grazie anche agli smartphone) che ha di fatto concretizzato la promessa Connecting People, pilastro ultradecennale della strategia di Nokia.

E se dico marketing della conversazione? Penso a quante sono le persone che prima di fare un acquisto cercano consiglio online, al fatto che io stesso almeno una volta al giorno finisco su Yahoo Answers e trovo sempre le risposte a quello che cerco questo mi fa riflettere sull enorme potenziale che c’e’ dietro queste forme di comunicazione.

Come il web 2.0 ha cambiato il tuo lavoro in agenzia negli ultimi anni? Lo sta cambiando nella misura in cui ci siamo strutturati per offrire consulenza strategica e supporto ai clienti (non sono molti) che decidono con noi di intraprendere questa strada. Diciamo che e’ ancora work in progress: stiamo capendo quanta parte del business sara’ presa da questo genere di attivita’. Di solito i clienti non ci chiedono di investire in questi media nasce tutto dall iniziativa dell agenzia. in questo ambito ci siamo mossi, per ora, solo con il largo consumo.

Personalmente, hai immaginato dei modelli di business alternativi per le grandi agenzie? Assolutamente si. E’ in atto una trasformazione del nostro lavoro. Tutti si stanno adeguando, anche se pochi sanno dove andremo realmente a finire. Per quanto ci riguarda pensiamo che le nuove professionalita’ debbano necessariamente entrare nel team di agenzia (e non essere terze parti scollegate) in modo da consentire al pensiero strategico e creativo di prendere forma, da subito, in maniera olistica. Ci stiamo attrezzando in questo modo.

Il tuo personale elenco di dos and don’ts nel rapporto tra brands e persone?

Osare, osare, osare. Ma anche rispettare gli spazi privati delle persone e fare in modo che sia il pubblico a cercare l azienda e non viceversa. Non essere mai overpromising. Da questo punto di vista hanno avuto molto successo le aziende che hanno scelto con coraggio di cavalcare i tempi attraverso le nuove tecnologie, e non si tratta solo di birre o bevande energetiche. Alcuni nostri clienti dell area food stanno sperimentando le potenzialita’ dei social network e del mondo digitale in genere attraverso operazioni assolutamente innovative e di rottura.

La tua piu’ grande soddisfazione professionale?

Ogni volta che una buona idea vede la luce.

E la tua piu’ grande frustrazione?

Ogni volta che una buona idea non vede la luce.Come dire: anche la creativita’ e’ una conversazione.

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