Ospiti di TTV: per un Social Category Management

Chi frequenta The Talking Village, oltre ad essere – come tutti – un consumatore, ha sempre delle esperienze e delle competenze che possono arricchirci. Per questo abbiamo chiesto a Mariangela Ziller, che conosciamo e apprezziamo da molto tempo in Rete, di regalarci il suo punto di vista su una realta’ molto vicina e tangibile eppure molto complessa, quella della distribuzione.

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In Rete nelle ultime settimane si inizia a parlare di un settore molto tradizionale che fin qui sembrava immune alle sirene del web marketing e degli strumenti social: la grande distribuzione. Se n e’ parlato qui, qui e qui.

A questo proposito, io, che la GD l ho bazzicata fino a ieri cercando di diffondere il verbo del category management (cioe’, cerca di capire cosa vuole il tuo cliente e prova a darglielo) in una terra popolata prevalentemente da negoziatori muscolari, ho da tempo parecchie idee che mi frullano in testa. [Ho anche provato a realizzarle, con un progetto in cui ho creduto follemente salvo poi abbandonarlo in una fase appena embrionale, per via dei cosiddetti “treni della vita”].

Ci si accorge ora che piccoli e grandi player della GD mancano del minimo sindacale di ascolto dei feedback dalla Rete, scrive Gianluca Diegoli. in realta’, non e’ esattamente cosi Quello che altri cercano di costruirsi con il web 2.0, una relazione a due vie, frequente e autentica con le persone, la distribuzione ce l ha gia’, non in Rete, ma nel punto vendita. Le persone dialogano con altre persone che lavorano in negozio, chiamano il numero verde, leggono le etichette dei prodotti. Poche esperienze di acquisto come quella alimentare sono cosicostellate di microinterazioni con il prodotto e con il punto vendita, sia che la spesa venga vissuta come un momento di socializzazione (la vecchia bottega e il rapporto con il negoziante), sia che venga vissuta come una seccatura, un’esperienza stressante o una perdita di tempo.

Certamente queste interazioni potrebbero essere valorizzate, con consapevolezza, attraverso la conversazione in Rete, semplificando la vita alle persone e ponendo le basi di un vantaggio competitivo difficilmente attaccabile e veramente differenziante.

Solo che tutto questo non arriva alle strategie di marketing, si ferma a un livello piu’ basso e quotidiano, e non viene percepito come componente essenziale della catena del valore. perche’ nella cultura prevalente della GD italiana il valore non e’ legato alla relazione con i clienti e alle vendite, ma al prezzo d acquisto. Comprare meglio possibile e’ ancora il principale asset strategico di moltissime aziende della GDO, cui segue l inevitabile corollario per fare la guerra sui prezzi?. Tant e’ che all inizio di questo post volevo linkare la definizione di category management per chi non ne avesse mai sentito parlare, e su Wikipedia progetto italiano non e’ neppure citato!

Su cosa puo’ basarsi, il social category management?? Come potrebbe la conversazione migliorare l efficacia delle leve di marketing della GD Butto li’alcuni titoli.

Assortimenti (seleziono con te, non solo per te): coinvolgere i clienti nella co-creazione di linee di marca privata, non tanto quella classica (che comunque ha sempre bisogno di assaggiatori), quanto tutti quei prodotti che sono “soluzioni furbe” e prodotti che si trovano solo qui?. Per abusare come sempre con l esempio delle mamme, una linea di prodotti adatti ai bambini co-creata puo’ migliorare ed essere ben diversa dal classico me too.

Informazione (siamo quello che compriamo): quoto quel genio di Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, quando dice che su un volantino non food per un telefonino chiediamo 20 righe di caratteristiche tecniche, per il cibo, che finisce nel nostro corpo nutrendoci, ci accontentiamo di mele, 0,79?/kg?. Quanto puo’ fare la GD per informarci sulle stagionalita’, le varieta’, l origine, la filiera, i contenuti nutritivi, la sostenibilita’ degli imballaggi Temi che molti hanno iniziato ad affrontare, ma che interpretati in salsa social verrebbero fruiti in maniera ben diversa e arricchiti da continui spunti di discussione e di approfondimento, oltre che da una discreta dose di autenticita’ e di controllo sociale. Qui c’e’ anche il tema della responsabilita’ sociale, del ruolo della GD o almeno di certa GD territoriale nel sostenere le piccole imprese a km 0?, i prodotti locali, le tradizioni gastronomiche. Ma anche, uscendo dagli scaffali food per abbracciare tutto l assortimento di un supermercato, nell educare sugli imballaggi (ad esempio, avete mai confrontato questa confezione con questa?) o nel dare risonanza a importanti operazioni sui pack fatte dai player industriali (ad esempio, Barilla che ha finalmente eliminato la finestrella di plastica da staccare dalla scatola di cartoncino per differenziarla correttamente). O ancora, nel far ragionare sugli impatti ecologici di come consumiamo e promuovere comportamenti corretti.

Layout (sappiamo che per te questo non e’ shopping, rispettiamo il tuo tempo). Dominare il negozio e’ una delle esigenze piu’ forti che sentono le persone quando vanno a fare la spesa. Percorrere le corsie agevolmente, trovare subito cio’ che serve, evitare giri tortuosi e possibilmente anche le code alla cassa. Qui piu’ che la conversazione possono gli smartphones, e applicazioni intelligenti che a fronte di una lista della spesa guidino nel punto vendita. E’ vero anche che molti negozi hanno criticita’ di percorso che potrebbero, in una visione meno fantascientifica, essere segnalate e corrette con interventi di relayout e sistemazione di carattere assolutamente ordinario. Dialogare con le persone serve anche a risolvere alcuni eterni dilemmi, del tipo meglio l assortimento biologico (o etnico, o salutistico, ecc) all interno delle categorie di riferimento o meglio un corner a se stante?, magari per poi scoprire che non esiste la Verita’ ma soluzioni diverse da negozio a negozio, perche’ esistono sensibilita’ e approcci diversi.

Prezzi e promozioni (sconti davvero fai da te). Quanto a queste ultime, si e’ gia’ discusso a sufficienza di Facebook Deals per non spendere ulteriori parole sulle potenzialita’ della geolocalizzazione. Aggiungo che unire alla tecnologia mobile degli smartphone le informazioni di un database carte fedelta’ permette di personalizzare veramente le promozioni e proporre sconti sulle marche piu’ acquistate e gradite. Non penso ad astruse segmentazioni della clientela attraverso l elaborazione di grandi masse di numeri, quanto piuttosto alla scelta da parte del cliente fra una lista di possibilita’ proposte in base agli acquisti piu’ frequenti e magari all interesse dimostrato durante le conversazioni in Rete ed esplicitamente manifestato.

Come dice Tesco, “Every little helps!

Mariangela Ziller

  • Studio i consumatori, fidelizzo i clienti, sfrutto la tecnologia, ma amo le persone.Marketing Operations Manager – Dedagroup spa
  • Loyalty Marketing and Customer Relationship Manager – Seven Spa Gruppo PoliBio
4 commenti
    • Eugenio Barbiero
      Eugenio Barbiero dice:

      Non dimentichiamo che il Category Management in estrema sintesi non è altro che progetto commerciale tra Industria da una parte e Disribuzione dall’altra, che ha come scopo principale, quello di fare aumentare i volumi di vendita e marginalità a entrambe le parti. Cercare di dare un valore etico a questi contratti commerciali, mi sembra eccessivo, bisognerebbe dargli un altro nome.

      Eugenio Barbiero

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  1. Flavia Rubino
    Flavia Rubino dice:

    Ciao Eugenio. Non credo che si parlasse di etica ma di altro.. per aumentare vendite e margini di industria e distribuzione ci vuole solo una cosa, oltre alla riduzione delle inefficienze: che i consumatori acquistino. Sono la variabile determinante (e indipendente) di quel contratto. Per me marketing partecipativo non significa marketing etico, espressione di solito sbeffeggiata da molti. Significa proprio un marketing in grado di capire meglio quella variabile, grazie all’uso intelligente di strumenti social/partecipativi, e quindi in grado produrre risultati di business migliori.

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  2. Mariangela Ziller
    Mariangela Ziller dice:

    Ciao Eugenio,
    mi piacerebbe capire meglio la tua critica, perché messa così sa di conflitto fra etica e profitto, tema “difficile” che non mi sembra il caso di affrontare e sul quale sono d’accordo con la risposta di Flavia. In sintesi, finché siamo in un sistema capitalistico è etico fare profitti e produrre e distribuire valore.
    Quanto invece allo specifico del category management, mi dispiace ma trovo che il 90% di ciò che viene inserito nei contratti commerciali fra industria e distribuzione come “poste” di CM sia una mera operazione di facciata fatta per indorare la pillola all’industria oppure per cercare di strappare una contropartita alla distribuzione che comunque chiede soldi. So benissimo che questo è il mondo dei rapporti industria/gd, perlomeno e soprattutto in Italia, e non sarò certo io a scomodare l’etica, quantomeno fuori posto in questi argomenti. Qui però l’approccio è ben diverso. The Talking Village parla di marketing e di cosa significhi, per il marketing tradizionale, l’avvento di tecnologie e tecniche che permettono di entrare in contatto diretto con il consumatore/cliente, con le persone. Il category management è un approccio che mette al centro il cliente. Stando a questo, più che alle degenerazioni realizzative cui fai probabilmente cenno tu, il processo che il CM mette in atto è un processo a 3 e non a 2, secondo il quale industria e distribuzione dovrebbero trovare i punti di accordo e il terreno comune proprio nell’analizzare e nel cercare di rispondere alle esigenze del mercato. Questo è il linguaggio tradizionale, la proposta/provocazione e il “social” category management è sostituire all’ “analisi del mercato” l’ascolto delle persone.

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