Conversazioni di Marketing: i bisogni dei consumatori, tra necessità e desiderio

Durante la recente chiacchierata con Claudio Gagliardini, mi aveva colpito una sua frase in cui si faceva cenno alla distinzione tra necessità e desiderio e all’opportunità per il marketing (se riassumo bene il senso del discorso) di non limitarsi ad abbindolarci con i gadget. Mi sono ripromessa di tornarci su, e riprendo dunque da quel  suo passaggio:

(I marketer e le agenzie dovrebbero approfondire meglio) …Il rapporto tra necessità e desiderio, puntando meno al secondo, come leva di marketing, e più al primo come missione e come valore. L’essere umano è desiderio allo stato solido, ma per far leva su questa caratteristica, insita nel DNA, occorre prima soddisfare davvero i suoi bisogni primari e le sue necessità, migliorando davvero la sua qualità di vita, anziché distoglierlo dai bisogni e dai problemi con gadget e giocattoli di varia natura.

Che cosa vuol dire?

Uno dei pregiudizi più radicati che cerco di scalfire nelle conversazioni di marketing che teniamo su TTV e durante i nostri progetti, è che il marketing sia un’attività intrinsecamente disonesta che crea bisogni artificiali e ci vende prodotti inutili.
Per questo lo spunto citato è molto interessante:  la necessità, intesa come bisogno, è qualcosa di profondo e autentico, mentre il desiderio è passeggero e superficiale. Sono i bisogni dei consumatori che dovrebbero guidare il mercato, e il marketing – quello fatto seriamente – deve studiarli con obiettività, non drogarli.

  • Il marketing ha come fine ultimo la vendita di beni e servizi, e fin qui per fortuna siamo tutti d’accordo (poi certo quando si parla di pubblicità ci sono anche commenti sdegnosi come: “quello spot fa schifo perchè inquadra sempre il prodotto e vuole convincermi a comprarlo!” ma dai? ma pensa che briganti!)
  • Al giorno d’oggi la vendita si ottiene sempre di più attraverso la relazione (pull) e sempre meno attraverso persuasione diretta e promozione (push), benchè queste ultime (pubblicità, offerte speciali) mantengano una loro indubbia funzione ed efficacia;
  • La maggiorparte della gente crede che il marketing sia quella cosa brutta che serve a creare bisogni inesistenti per prodotti superflui,  attraverso appunto pubblicità e promozioni – niente di più sbagliato, quello è un aspetto superficiale della vendita persuasiva,  che è solo un aspetto finale del processo di marketing);
  • Invece, il bravo marketer sa che sta creando valore economico duraturo quando riesce ad agganciare un intero brand, e non solo un singolo prodotto, a un bisogno emotivo reale delle persone, non capriccioso ed effimero.

relevanceCredo che parlando di relazione, di valori e missione delle aziende,  stiamo chiedendo ai marketer di prendere una posizione nel mondo dei bisogni emotivi profondi. In questo mondo ci sono la sicurezza, l’appartenenza, l’amicizia, l’amore, il sesso, l’autostima, la passione per un lavoro e così via. I brand che risuonano con noi su questi bisogni primari ci danno la sensazione di vivere scegliendo prodotti e servizi che rispecchiano i nostri ideali, e quindi ci danno un senso di coerenza e armonia. Il fatto è che questo sta ormai diventando qualcosa di serio, una questione di responsabilità sociale dell’azienda realmente vissuta e non meramente dichiarata. Dopo questa visita in fabbrica, ad esempio, le persone che hanno partecipato hanno sentito una sintonia di valori. Quelle che non hanno partecipato, ovviamente, hanno pensato a oscure manipolazioni e sono arrivate a dire che le fabbriche vengono “truccate” per un manipolo di 8 blogger in visita. No, per dire.

Questa è la differenza che fa la vera conversazione e la vera relazione rispetto alla pubblicità.

Contrariamente a quanto molti credono, non penso che esistano categorie di prodotti così noiosi e poco interessanti da dover rinunciare in partenza a questa aspirazione. Detersivi per la casa, colle, pneumatici e lucchetti  hanno la stessa possibilità di creare valore emotivo per una community (famiglie, automobilisti, idraulici, ciclisti…) che una nutella o un pocket coffee. Quello che cambia è l’approccio alla conversazione/relazione: ecumenico nel caso del lovebrand, di nicchia nel caso dello specialista, funzionale alla soluzione di problemi nel caso del tecnico. Qual è la gratificazione emotiva di qualcuno che in un forum mi consiglia come sostituire un pezzo della lavastoviglie? E la mia gratitudine verso di lui dove la mettiamo? Non è questa una relazione? Da un lato c’è la soddisfazione di aiutare qualcuno con le proprie competenza, dall’altro quello di aver risolto un problema, prendendosene cura, e quindi sentendosi una persona capace. I valori sono in ogni nostra azione, e persino cambiare una ruota può diventare una storia profondamente personale.

Il gadget che non abbia un valore funzionale ma solo estetico, che non abbia un valore insito nel miglioramente della qualità della nostra vita ma solo nella moda del momento, non è un brand. Farà appello al nostro lato giocoso e  infantile ma non costruirà valore  nel tempo. Non ci sta ofrendo una soluzione ma una distrazione.
Al contrario un vero brand migliorerà il nostro mondo con la visione insita nelle sue soluzioni, permettendoci di essere un po’ di più noi stessi. Il suo valore economico e il nostro psicologico coincidono, e questo è estremamente smart e soprattutto win-win.

(questa storia continua? ma certo che continua. ripartendo dagli insight e dalla rilevanza..)

 

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  1. […] Vi invito ad approfondire il tema leggendo il contenuto integrale al seguente link: Conversazioni di Marketing: i bisogni dei consumatori, tra necessità e desiderio […]

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