Noi, le tecnologie, Ikea e Coca Cola

Recentemente mi sono ritrovata inserita in un gruppo WhatsApp insieme a un’altra decina di ex colleghi Master, con l’obiettivo folle di organizzare la classica Reunion dopo vent’anni, in un flusso ininterrotto di messaggini in cui date, proposte, luoghi, alberghi, opinioni e tutto l’indispensabile per decidere veniva irrimediabilmente perso nel torrente di scherzi , lazzi e litigi, e andava ripetuto daccapo più o meno ogni giorno a qualcuno che si era perso.

Dopo aver tentato, invano, di convincerli a spostarsi su un’altra piattaforma (niente da fare: molti odiano Facebook, e il gruppo LinkedIn ha raccolto la bellezza di 4 membri), ho avuto questo delirante scambio con uno degli ultimi arrivati:

  • Ultimo arrivato/a: Se si esagera con i messaggini me ne vado!
  • Io: ti consiglio di disattivare le notifiche o potresti tirare il telefono dalla finestra…
  • Ultimo arrivato/a: parli troppo difficile, ti dispiace sottotitolarti in un italiano a me più comprensibile?
  • Io (allibita): il tuo telefono fa suoni, vibrazioni, fa il caffè quando scriviamo in questo gruppo? Se sì ne va della tua salute mentale.. (con abbondanza di sorrisi)
  • Ultimo arrivato/a: (…varie ed eventuali) continuo a non capire cosa significa e cosa c’entra con la mia salute mentale, comunque ora i miei contatti li avete, ciao ciao
    (e abbandona il gruppo).

(Nonostante tutto la Reunion è stata organizzata, per cui magari riuscirò a spiegarglielo di persona).

Ora, bisogna prendere atto di come il cambio di millennio, soprattutto in noi ultra trentenni e ultra quarantenni, abbia creato una drammatica spaccatura – oltre a quella, eterna , tra persone sufficientemente dotate e persone totalmente prive di umorismo: l’incomunicabilità  tra tecnofobici che restano orgogliosamente legati all’albero della loro nave che affonda, e tutti gli altri che oscillano tra pragmatismo, curiosità  e speranza, tra nuovi device e nuove piattaforme che corrono veloci. I numeri e il tempo decreteranno sicuramente l’estinzione dei primi a favore dei secondi, spero presto, così come si sono estinti quelli che hanno maledetto i diabolici treni a vapore. Ma sono ancora milioni e milioni questi nostri coetanei, di cui noi frequentatori dei mondi social non percepiamo più la vastità, che si compiacciono di “odiare le tecnologie” e di addossarci così tutto il peso della loro ignoranza.

Dove si collocano i brand in questo scenario? In qualche modo intercettano una spaccatura della società.
Maliziosamente occhieggiano al grande pubblico dei tecnoscettici, usando però i mezzi dei tecnoentusiasti, e facendo leva tutto sommato efficacemente anche sulle loro paure. Perché per tutti noi che per lavoro o per svago passiamo molte ore ipnotizzati da uno schermo, una specie di senso di colpa aleggia dietro ogni click, anche senza rendercene conto.

Anche se può essere facilmente intepretato in senso reazionario, io preferisco vedere il valore salvifico dell’ironia nel messaggio di alcuni brand. L’ironia che ridimensiona e ricompone, che richiama al vecchio e sano buon senso: nella parodia di IKEA sulla tipica comunicazione Apple…

…E nella “geniale” soluzione di Coca Cola.

Qualche lettura interessante su questi temi? Oltre al libro di Rudy di cui avevamo già parlato, l’ultimo di Mafe, #Luminol, che è appena entrato nella mia wishlist.

 

5 commenti
  1. Alessia G Tramontana
    Alessia G Tramontana dice:

    Corsi e ricorsi, Coca Cola ha preso il collare Elisabettiano di storica memoria, che negli anni era diventato accessorio di cura veterinaria e l’ha fatto diventare cura per drogati 2.0, ovviamente brandizzato. Fantastico.
    IKEA scopre l’acqua calda, non è una novità che il “bookbook” sia ancora meglio dell’ e-book malgrado il peso 😉
    Due esempi decisamente al top, sarebbe interessante vedere qualche esempio di pmi se esiste.

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  2. frubino
    frubino dice:

    Il collare elisabettiano!, ecco cosa mi ricordava (il veterinario era troppo banale)
    PMI? piccola impresa italiana? proviamoci Alessia proviamoci ;))

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  3. Veronica M di MS
    Veronica M di MS dice:

    Non parliamo poi di chi è abituato a lavorare grazie alle proprie pr personali e non capisce che oggi, durante una telefonata commerciale, il prospect va subito sul sito e se lo trova brutto, o peggio, in down, non ti compra più. Ma vaglielo a spiegare.

    Rispondi

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